“Il mondo è una collezione di musei dell'Uomo.
Uomo del passato, ma che per molti aspetti resta ancora e sempre l'uomo di oggi.
Nel mondo troviamo un ammucchiarsi di uomini su cui le più clamorose e spettacolari invasioni si mostrano incapaci di incidere in profondità o di assoggettarli appieno.
Gli europei non conquistarono l'America: al contrario, fu lei a conquistarli, ad assimilarli alla propria sostanza, al territorio.
L'America agì con gli europei come certi fiori con gli insetti così imprudenti da posarsi su di essi: rinchiudendoli cioè e divorandoli.
In America c'era spazio.
Questo bastava ad attirare masse, a sognare nuove possibilità.
L'America dei sogni non era grande, bensì larga, con un Occidente sconosciuto che prometteva il mondo intero.
La storia del mondo è quale la fanno gli uomini.
La ruota del destino degli uomini fissa quello del mondo, allargando o restringendo il dominio nel corso dei secoli.
Roma è riuscita a costituire il suo mondo grande come un'immensa fortezza, stringendola in un sistema semichiuso.
Non ha dato spazio alle nuove alternative economiche e sociali: è caduta.
Ha avuto il suo tempo, certo, le sue glorie. Ma non ha dato spazio, anzi, ha soffocato i popoli che erano sotto il suo dominio, con la speranza di mantenere il suo grande mondo intatto.
L'Impero non si era accorto che, già agli albori di questo tentativo, era già bell'e contaminato.
Non è mai esistita in nessuna circostanza un'economia mediterranea pura, direbbe André Siegfried. Lo stesso vale per le terre oltre il Mediterraneo e ovunque si affermino civiltà – ma sarebbe meglio parlare di multinazionali – che cercano d'ingrandirsi a più non posso e far accettare le loro soluzioni come le migliori.
I barbari pronti a contrastare queste realtà sono ancora in pochi.
I bisogni degli uomini possono essere sintetizzati e gerarchizzati in forma di piramide.
Tutti avvertiamo il bisogno di mangiare, bere, dormire, comunicare, divertirci.
Così le grandi multinazionali cercano di rispondere alle necessità dei consumatori e tendono a generalizzarle, a uniformarle.
D'altra parte non v'è dubbio che la realtà sia diversa e più riccamente sfumata di come ci viene venduta.
Ciascun uomo si sente unico, nelle proprie esperienze e nella propria esistenza, irripetibile.
Ciascun cittadino si sente depositario di doveri e diritti.
Il cittadino vorrebbe – e con una certa esigenza – che tutti i prodotti della democrazia prendano forma.
Il cittadino che si sente tale vorrebbe spazio per coltivare le proprie opportunità.
Il mondo grande, occupato quasi per intero dai potenti soggetti economici, stronca le iniziative sul nascere. Nel mondo grande non c'è spazio.
È la visione di un mare solcato dalle medesime navi che appartengono ai medesimi armatori.
Come si soleva ammettere fino al XVI secolo, chi domina il mare domina le arti e il pensiero.
Oggi le cose si sono spostate dal mare al cielo, dal reale al virtuale.
Oggi il mondo si è ingrandito, e rimpicciolito al tempo stesso.
Il web, come lo si utilizza di solito, non è poi così largo.
Galileo vedeva chiara la fine del mondo fisico; ma quanto agli strumenti per studiarlo, non aveva dubbi nel considerarli infiniti.
È dunque lecito sperare e credere che all'angusto mondo delle grandezze algebriche degli imperi
multinazionali, ben barricato dietro i meccanismi di sfruttamento delle risorse del pianeta, si debba
sostituire un mondo largo – o “largamente aperto”, come direbbe Braudel – quale esso è sempre stato nella logica dei matematici e degli umanisti.
Il diciannovesimo secolo, da Hegel a Darwin, aveva visto il trionfo della continuità storica e
biologica che superava tutte le rotture delle antitesi dialettiche e delle mutazioni genetiche.
Oggi la prospettiva è radicalmente cambiata: nella storia non seguiamo più il corso d'uno spirito
immanente nei fatti del mondo, ma le curve dei diagrammi statistici, la ricerca storica si va sempre
più matematizzando. Il processo in atto oggi è quello di una rivincita della discontinuità, divisibilità, su tutto ciò che è corso continuo, gamma di sfumature che stingono una sull'altra.
Il mondo largo comprende un mescolarsi, pertanto, di scienze naturali e sociali.
È necessario però operare una separazione netta tra discorso scientifico e discorso sui valori: ciò
vuol dire che la responsabilità morale non può mascherarsi dietro giustificazioni interessate.
Ciò che permette di vedere il mondo largo non è la compattezza di etiche ben determinate, bensì
una ricerca morale, sempre problematica, sempre rischiosa.
La più razionale e universale costruzione etica mai tentata, quella di Kant, esige che in ogni situazione si riparta da zero. Su queste basi morali, problematiche e rischiose, ciascuno può costruire la propria “larghezza di vedute”.
In questo processo il linguaggio ha un ruolo fondamentale. Esso permette di costruire delle figure
autonome, che possono servire come termine di confronto con l'esperienza o con altre costruzioni della mente.
Una cosa non si può sapere quando le parole e i concetti per dirla e pensarla non sono
stati ancora usati in quella posizione, disposti in quell'ordine.
Tout passe, dicono i francesi: la verità di ieri può essere l'inganno di oggi, e quella che ieri era una deduzione errata, può essere la rivelazione di domani. Lo dimostrano le società, quando si ritrovano abbarbicate attorno alle mode.
Vedere il mondo largo porta a scoprire itinerari che costeggiano e scavalcano le barriere delle interdizioni, a dire ciò che non si poteva dire, a un inventare che è sempre un reinventare parole e storie che erano state rimosse dalla memoria collettiva e individuale.
Vedere il mondo largo vuol dire compiere uno sforzo per valutare in modo critico le abitudini,
uscire dallo spazio fisico per osservarlo meglio, ridisegnare la mappa e poi rientrare per attivare nuove opportunità.
È il richiamo intelligente all'uso di uno spazio che è per tutti perché a tutti ha dato la vita.
La visione del mondo largo possiede l'acuta intelligenza del negativo che ci circonda da cui si sviluppa una volontà limpida e attiva, come quella che muoveva i cavalieri negli antichi cantari o i primi esploratori nelle memorie di viaggio.
Si uniscono in questo modo due elementi fondamentali per la riflessione sulla società di oggi:
Un Pessimismo dell'intelligenza e un Ottimismo della volontà.
È un'associazione che ha attirato molti intellettuali del XX secolo, da Romain Rolland ad Antonio Gramsci.
Intelligenza, volontà: già porre questi termini vuol dire credere nell'individuo, rifiutare la sua dissoluzione.
Vedere il mondo largo significa interessarsi alle prove che l'uomo è in grado di sostenere e al modo in cui può superarle.
Quest'ordine di pensieri s'inserisce all'interno di una visione che è allo stesso tempo scientifica, perché parte dalla constatazione di numerosi dati di fatto (lo sfruttamento delle risorse, il sempre maggiore rafforzamento economico delle grandi multinazionali), e soprattutto sociale, perché
confluisce in un unico scopo: cogliere l'uomo ossia la società. Gli spazi, i linguaggi sono soltanto mezzi.”
Angelo Urgo
Questo documento è la “fotografia lucidissima e chirurgica” che un giovane studioso mi ha inviato tre anni fa (allora aveva 22 anni) al termine di alcune serate passate, con lui e dei suoi coetanei compagni di studi, a discettare sul “mondo di domani”.
Il Mondo Largo al posto del Mondo Grande.
Non credo si possa impostare un lavoro come quello che ci accingiamo ad iniziare senza tenere conto di questo cambio di paradigma.
Non penso potremo “Progettare Futuro” senza affidarci e confrontarci continuamente e con quelli che sono già futuro...
...e che questo “Futuro” gestiranno e governeranno.
Uomo del passato, ma che per molti aspetti resta ancora e sempre l'uomo di oggi.
Nel mondo troviamo un ammucchiarsi di uomini su cui le più clamorose e spettacolari invasioni si mostrano incapaci di incidere in profondità o di assoggettarli appieno.
Gli europei non conquistarono l'America: al contrario, fu lei a conquistarli, ad assimilarli alla propria sostanza, al territorio.
L'America agì con gli europei come certi fiori con gli insetti così imprudenti da posarsi su di essi: rinchiudendoli cioè e divorandoli.
In America c'era spazio.
Questo bastava ad attirare masse, a sognare nuove possibilità.
L'America dei sogni non era grande, bensì larga, con un Occidente sconosciuto che prometteva il mondo intero.
La storia del mondo è quale la fanno gli uomini.
La ruota del destino degli uomini fissa quello del mondo, allargando o restringendo il dominio nel corso dei secoli.
Roma è riuscita a costituire il suo mondo grande come un'immensa fortezza, stringendola in un sistema semichiuso.
Non ha dato spazio alle nuove alternative economiche e sociali: è caduta.
Ha avuto il suo tempo, certo, le sue glorie. Ma non ha dato spazio, anzi, ha soffocato i popoli che erano sotto il suo dominio, con la speranza di mantenere il suo grande mondo intatto.
L'Impero non si era accorto che, già agli albori di questo tentativo, era già bell'e contaminato.
Non è mai esistita in nessuna circostanza un'economia mediterranea pura, direbbe André Siegfried. Lo stesso vale per le terre oltre il Mediterraneo e ovunque si affermino civiltà – ma sarebbe meglio parlare di multinazionali – che cercano d'ingrandirsi a più non posso e far accettare le loro soluzioni come le migliori.
I barbari pronti a contrastare queste realtà sono ancora in pochi.
I bisogni degli uomini possono essere sintetizzati e gerarchizzati in forma di piramide.
Tutti avvertiamo il bisogno di mangiare, bere, dormire, comunicare, divertirci.
Così le grandi multinazionali cercano di rispondere alle necessità dei consumatori e tendono a generalizzarle, a uniformarle.
D'altra parte non v'è dubbio che la realtà sia diversa e più riccamente sfumata di come ci viene venduta.
Ciascun uomo si sente unico, nelle proprie esperienze e nella propria esistenza, irripetibile.
Ciascun cittadino si sente depositario di doveri e diritti.
Il cittadino vorrebbe – e con una certa esigenza – che tutti i prodotti della democrazia prendano forma.
Il cittadino che si sente tale vorrebbe spazio per coltivare le proprie opportunità.
Il mondo grande, occupato quasi per intero dai potenti soggetti economici, stronca le iniziative sul nascere. Nel mondo grande non c'è spazio.
È la visione di un mare solcato dalle medesime navi che appartengono ai medesimi armatori.
Come si soleva ammettere fino al XVI secolo, chi domina il mare domina le arti e il pensiero.
Oggi le cose si sono spostate dal mare al cielo, dal reale al virtuale.
Oggi il mondo si è ingrandito, e rimpicciolito al tempo stesso.
Il web, come lo si utilizza di solito, non è poi così largo.
Galileo vedeva chiara la fine del mondo fisico; ma quanto agli strumenti per studiarlo, non aveva dubbi nel considerarli infiniti.
È dunque lecito sperare e credere che all'angusto mondo delle grandezze algebriche degli imperi
multinazionali, ben barricato dietro i meccanismi di sfruttamento delle risorse del pianeta, si debba
sostituire un mondo largo – o “largamente aperto”, come direbbe Braudel – quale esso è sempre stato nella logica dei matematici e degli umanisti.
Il diciannovesimo secolo, da Hegel a Darwin, aveva visto il trionfo della continuità storica e
biologica che superava tutte le rotture delle antitesi dialettiche e delle mutazioni genetiche.
Oggi la prospettiva è radicalmente cambiata: nella storia non seguiamo più il corso d'uno spirito
immanente nei fatti del mondo, ma le curve dei diagrammi statistici, la ricerca storica si va sempre
più matematizzando. Il processo in atto oggi è quello di una rivincita della discontinuità, divisibilità, su tutto ciò che è corso continuo, gamma di sfumature che stingono una sull'altra.
Il mondo largo comprende un mescolarsi, pertanto, di scienze naturali e sociali.
È necessario però operare una separazione netta tra discorso scientifico e discorso sui valori: ciò
vuol dire che la responsabilità morale non può mascherarsi dietro giustificazioni interessate.
Ciò che permette di vedere il mondo largo non è la compattezza di etiche ben determinate, bensì
una ricerca morale, sempre problematica, sempre rischiosa.
La più razionale e universale costruzione etica mai tentata, quella di Kant, esige che in ogni situazione si riparta da zero. Su queste basi morali, problematiche e rischiose, ciascuno può costruire la propria “larghezza di vedute”.
In questo processo il linguaggio ha un ruolo fondamentale. Esso permette di costruire delle figure
autonome, che possono servire come termine di confronto con l'esperienza o con altre costruzioni della mente.
Una cosa non si può sapere quando le parole e i concetti per dirla e pensarla non sono
stati ancora usati in quella posizione, disposti in quell'ordine.
Tout passe, dicono i francesi: la verità di ieri può essere l'inganno di oggi, e quella che ieri era una deduzione errata, può essere la rivelazione di domani. Lo dimostrano le società, quando si ritrovano abbarbicate attorno alle mode.
Vedere il mondo largo porta a scoprire itinerari che costeggiano e scavalcano le barriere delle interdizioni, a dire ciò che non si poteva dire, a un inventare che è sempre un reinventare parole e storie che erano state rimosse dalla memoria collettiva e individuale.
Vedere il mondo largo vuol dire compiere uno sforzo per valutare in modo critico le abitudini,
uscire dallo spazio fisico per osservarlo meglio, ridisegnare la mappa e poi rientrare per attivare nuove opportunità.
È il richiamo intelligente all'uso di uno spazio che è per tutti perché a tutti ha dato la vita.
La visione del mondo largo possiede l'acuta intelligenza del negativo che ci circonda da cui si sviluppa una volontà limpida e attiva, come quella che muoveva i cavalieri negli antichi cantari o i primi esploratori nelle memorie di viaggio.
Si uniscono in questo modo due elementi fondamentali per la riflessione sulla società di oggi:
Un Pessimismo dell'intelligenza e un Ottimismo della volontà.
È un'associazione che ha attirato molti intellettuali del XX secolo, da Romain Rolland ad Antonio Gramsci.
Intelligenza, volontà: già porre questi termini vuol dire credere nell'individuo, rifiutare la sua dissoluzione.
Vedere il mondo largo significa interessarsi alle prove che l'uomo è in grado di sostenere e al modo in cui può superarle.
Quest'ordine di pensieri s'inserisce all'interno di una visione che è allo stesso tempo scientifica, perché parte dalla constatazione di numerosi dati di fatto (lo sfruttamento delle risorse, il sempre maggiore rafforzamento economico delle grandi multinazionali), e soprattutto sociale, perché
confluisce in un unico scopo: cogliere l'uomo ossia la società. Gli spazi, i linguaggi sono soltanto mezzi.”
Angelo Urgo
Questo documento è la “fotografia lucidissima e chirurgica” che un giovane studioso mi ha inviato tre anni fa (allora aveva 22 anni) al termine di alcune serate passate, con lui e dei suoi coetanei compagni di studi, a discettare sul “mondo di domani”.
Il Mondo Largo al posto del Mondo Grande.
Non credo si possa impostare un lavoro come quello che ci accingiamo ad iniziare senza tenere conto di questo cambio di paradigma.
Non penso potremo “Progettare Futuro” senza affidarci e confrontarci continuamente e con quelli che sono già futuro...
...e che questo “Futuro” gestiranno e governeranno.